il favore dei contemporanei
La storia della fortuna riscossa da Fra Filippo nel corso della sua lunga vicenda artistica si apre con l’estremo gradimento incontrato presso i committenti della sua epoca: sia ecclesiastici (anche grazie al suo status di frate carmelitano) che laici. I suoi affreschi, le sue Madonne, i piccoli dipinti di soggetto sacro per uso devozionale privato, così come le tavole usate come oggetti di arredamento (sopraporte, testiere di letto, deschi…), gli creano subito una fama stabile e convinta.
“Insomma fu egli tale – testimonia il Vasari – che ne’ tempi suoi niuno lo trapassò, e ne’ nostri pochi: e Michelangelo l’ha non pur celebrato sempre, ma imitato in molte cose.”
Le commissioni pubbliche (il governo di Palazzo Vecchio, i Capitani di Orsanmichele…) e private (il Vitelleschi, gli Alessandri, il canonico Maringhi, Bartolini…) si sommano quasi subito ad altre, provenienti dalla più importante delle famiglie fiorentine: i Medici. Per loro Fra Filippo eseguirà numerose tavole, sia per il Palazzo di via Larga che in quegli anni si andava arredando, sia per le cappelle ufficiali, come la Cappella del Noviziato in Santa Croce costruita da Cosimo il Vecchio o quella dell’Eremo di Camaldoli.
La stima dei colleghi è testimoniata dalla lettera di Domenico Veneziano a Piero de’ Medici, dove lo si cita tra i “boni maestri” operanti a Firenze nel 1438, ma è Cosimo de’ Medici il suo più grande estimatore, pronto a sopportare per amore dell’arte (e forse in memoria di un contemporaneo soggiorno padovano ai tempi del suo esilio nel 1433-’34) anche le intemperanze sentimentali del frate scapestrato.
E’ interessante, a questo proposito, rileggere il commento pubblicato da Giorgio Vasari nelle “Vite” (1568):“Dicesi ch’era tanto venereo, che vedendo donne che gli piacessero, se le poteva avere, ogni sua facultà donato le arebbe; e non potendo per via di mezzi, ritraendole in pittura con ragionamenti la fiamma del suo amore intiepidiva. Ed era tanto perduto dietro questo appetito, che all’opere prese da lui quando era in questo umore, poco o nulla attendeva. Onde, una volta fra l’altre, Cosimo dei Medici, facendogli fare un’opera in casa sua, lo rinchiuse, perché fuori a perder tempo non andasse. Ma egli, statoci già due giorni, spinto da furore amoroso, anzi bestiale, una sera con un paio di forbici fece alcune liste de’ lenzuoli del letto, e da una finestra calatosi, attese per molti giorni a’ suoi piaceri. Onde non lo trovando e facendone Cosimo cercare, al fine pur lo ritornò al lavoro, e d’allora in poi gli diede libertà che a suo piacere andasse, pentito assai d’averlo per lo passato rinchiuso, pensando alla pazzia sua ed al pericolo che poteva incorrere. Per il che sempre con carezze s’ingegnò di tenerlo per l’avvenire; e così da lui fu servito con più prestezza; dicendo egli che l’eccellenze degli ingegni rari sono forme celesti e non asini vetturini”.
Di tanta pazienza, i Medici avranno il premio nel 1458, quando il Trittico del Lippi da loro inviato come dono al re Alfonso I di Napoli incontrerà un successo straordinario e contribuirà ad aumentare il peso politico di Firenze e la credibilità della loro Signoria.
Il racconto del Vasari e il sentimento di biasimo che si intuisce nelle sue parole, uniti alle condanne giudiziarie subìte dal pittore e alla scandalosa vicenda del rapimento della monaca Lucrezia Buti, contribuiranno invece ad oscurare la fama del Lippi nei secoli successivi.