Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e Angeli, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
la testimonianza del vasari
Vasari, 1568
“Era molto amico delle persone allegre e sempre lietamente visse. A fra’ Diamante fece imparare l’arte della pittura, il quale nel Carmino di Prato lavorò molte pitture; e della maniera sua imitandola, assai si fece onore, perchè e’ venne a ottima perfezzione. Sté seco in sua gioventù Sandro Boticello, Pisello, Iacopo del Sellaio fiorentino, che in San Friano fece due tavole et una nel Carmino lavorata a tempera, et infiniti altri maestri a i quali sempre con amorevolezza insegnò l’arte“.
Con questa frase il Vasari, nel 1568, testimonia la presenza di una vivace schiera di collaboratori e allievi nella bottega di Fra Filippo. Il nome più famoso è quello di Sandro Filipepi detto il Botticelli (1445-1510) che, entrato nella bottega del Lippi verso il 1464, quando trovava finalmente compimento il Ciclo pratese, se ne sarebbe allontanato presto, fondando già nel 1470 una propria bottega in Firenze. Da questa esperienza, certo chiusa prima del viaggio del Lippi a Spoleto nel 1467, il Botticelli avrebbe comunque portato con sé certe caratteristiche come la stesura compatta del colore, l’ampiezza delle forme (non lontane dalla scultura di Luca della Robbia) e quel fare gentile che trova la massima espressione nei volti dolcissimi delle sue Madonne.
Di più modesta levatura, ma richiestissimo dai committenti dell’epoca, Vasari ricorda poi Jacopo del Sellaio(1442-1493), iscritto già nel 1460 alla Compagnia di San Luca come pittore. E’ probabile che proprio nella bottega del Lippi il giovane artista abbia incontrato Botticelli, dalla cui pittura risulterà poi sempre fortemente influenzato.
Pesellino, Trinità con i Santi Mamante, Giacomo Maggiore, Zeno e Gerolamo, Londra, National Gallery
il pesellino
Più documentata la permanenza presso il Lippi di Francesco di Stefano, detto il Pesellino (1422-1457), che dopo aver ricevuto i primi rudimenti dal nonno pittore, Giuliano d’Arrigo detto il Pesello, dovette iniziare precocemente il suo alunnato presso Filippo se già intorno al 1445 collaborava con il maestro nella pala d’altare per la Cappella di Cosimo il Vecchio in Santa Croce.
A lui infatti il Lippi aveva affidato le cinque storie della predella, oggi divise fra gli Uffizi e il Louvre: la Natività, il Martirio dei Santi Cosma e Damiano, il Miracolo dello schiavo (Uffizi), il San Francesco che riceve le stimmate e il Miracolo dei Santi Cosma e Damiano (Louvre). Per il Pesellino un’opera certamente giovanile ma in cui già emerge la sua diversa personalità: una indipendenza dallo stile del maestro che lo porta a precisare figure e architetture attraverso un contorno sottile, vibrante di energia, che conferisce agli elementi risalto plastico ma non grandiosità, in una specie di visione gentilmente poetica che indurrà il Vasari a dire di lui che era nato per “quadretti di figure piccole”.
Nel 1453, ormai indipendente, il Pesellino si sarebbe associato con un altro pittore, Pietro di Lorenzo di Pratese, iniziando nel 1455 a dipingere l’unica opera certa che di lui abbiamo: la ‘Trinità’ commissionatagli dalla Compagnia dei Preti della Trinità di Pistoia (Londra, National Gallery). Due anni dopo, scomparso improvvisamente il pittore e dopo una causa fra la vedova e il socio Pietro di Lorenzo, la tavola sarebbe stata affidata per il completamento proprio al suo ex maestro, il Lippi, il quale avrebbe ricevuto alla riconsegna, avvenuta nel giugno 1460, un compenso superiore a quello del Pesellino e dei suoi eredi (115 fiorini contro 85).
Incoronazione della Vergine, San Giovanni e San Benedetto (Incoronazione Marsuppini), Roma, Pinacoteca Vaticana (dal XIX sec.) Tempera su tavola: centrale cm 172×93, laterali cm 167×79 (82)
nomi e identificazioni
Pur ammettendo la regolare presenza di numerosi aiutanti e garzoni in una bottega artigiana del XIV secolo, si può sostenere che durante la prima fase dell’attività di fra’ Filippo, fino al 1438 circa, “non si trovano nell’opera sua tracce d’altri” (Pittaluga, 1941). Verso il quinto decennio esse cominciano a infittirsi, ovvero nella fase artistica che comprende l’Incoronazione ‘Maringhi’ da Sant’Ambrogio (Uffizi), la Madonna col Bambino e quattro Santi da Santa Croce (Uffizi, dove abbiamo già visto la mano del Pesellino), laAnnunciazione ‘Martelli’ tutt’ora in San Lorenzo, la Incoronazione ‘Marsuppini’ (Pinacoteca Vaticana) e l’Annunciazione proveniente dalle Murate (Monaco).
L’Incoronazione ‘Maringhi’, in particolare, che divenne da subito uno dei capolavori più ammirati di Firenze, ci offre testimonianze precise sulla bottega del Lippi in quegli anni grazie ai pagamenti che il maestro ricevette dai canonici di Sant’Ambrogio tra il 1439 e il 1447 e che menzionano almeno tre assistenti di bottega: il giovane Fra Diamante, un “Piero di Lorenzo dipintore” e “Bartolomeo di Giovanni Corradini da Urbinodipintore et disciepolo di frate Filippo”. Su questi nomi, uniti a quelli di Giovanni di Francesco e degli anonimiMaestro della Natività di Castello, Maestro della Natività Johnson e Maestro delle Tavole Barberini, si sono per lo più concentrati negli ultimi due decenni gli studi sul Lippi, tesi a puntualizzare il problema della bottega e degli aiuti.
Bartolomeo di Giovanni Corradini, identificato con Fra Carnevale, è stato accostato da alcuni (De Angelis-Conti, 1976) al Maestro delle Tavole Barberini (in cui Zeri, 1961, riconosce invece il camerinese Giovanni Angelo di Antonio) e la sua mano è stata individuata in alcune delle teste poste in fondo a destra nell’Incoronazione ‘Maringhi’.
Per quanto riguarda Giovanni di Francesco (che sappiamo lavorò in bottega dal Lippi nel 1440-’41), il suo nome è stato fatto come aiuto nella predella dell’Annunciazione di San Lorenzo. I suoi rapporti con il maestro furono troncati nel 1450, quando si aprì il celebre contenzioso fra i due pittori dovuto a una falsa ricevuta di pagamento prodotta dal Lippi a nome dell’altro, un’episodio che getta una brutta luce sul maestro.
Madonna col Bambino e i santi Giusto e Clemente, Prato, Museo dell’Opera del Duomo
il maestro della natività di castello
Il nome di Piero di Lorenzo è stato invece proposto (Lachi, 1995) per il misterioso Maestro della Natività di Castello, la cui attività si svolse fra gli anni 1430-’40 e 1470-’80, un pittore che Berenson (1913) definiva “una personalità artistica discendente dall’Angelico, a metà tra Filippo Lippi e Baldovinetti” e che Mario Salmi (1938) studiava poi in modo approfondito nel suo percorso stilistico.
Il nome deriva dalla tavola con la ‘Natività’ conservata oggi alla Galleria dell’Accademia di Firenze ma proveniente dalla Villa medicea di Castello e realizzata su commissione di Piero de’ Medici e di sua moglie Lucrezia Tornabuoni. La proposta di identificarlo con il Piero di Lorenzo (Lachi, 1995), che in seguito sarebbe divenuto ‘socio’ del Pesellino, apre nuovi squarci sul vivacissimo mondo delle botteghe d’artista che nel Quattrocento si affollavano sul Corso degli Adimari di Firenze (oggi via Calzaiuoli), attentamente studiato da Ugo Procacci attraverso preziosissimi spogli d’archivio (U.Procacci, Spogli per ricerche sulle Compagnie di pittori del Corso degli Adimari nel XV secolo, BUF, manoscritto 358, 9, 30).
Sua opera di grande intensità cromatica è la Madonna con Bambino e i santi Giusto e Clemente proveniente dalla chiesa di Faltugnano (Prato) e oggi conservata al Museo dell’Opera del Duomo di Prato.
Alla sua mano viene oggi riferita da alcuni anche la Madonna col Bambino della Fondazione Magnani-Rocca.
La Natività con San Giorgio e San Vicenzo Ferrer Filippo Lippi e aiuti, Prato, Museo Civico (già nella chiesa di San Domenico) Tempera su tavola, cm. 146,5 x 156,5, sul verso schizzi di nudi a carboncino
fra diamante
A cominciare dal 1452, inizio dei lavori nel duomo di Prato, il Lippi prenderà a servirsi come aiuto principale di un altro carmelitano, Fra Diamante. Il “mediocre dipintore” è l’unico che veramente sia entrato nella sua opera e nella sua vita: presente già a Firenze, lo segue a Prato e riappare, isolato o collaborante, in varie tavole di quegli anni, tradizionalmente attribuite a Fra Filippo, e predomina, infine, nelle ‘Storie di Maria’ a Spoleto, che porta a compimento.
Nato a Terranuova Bracciolini nel 1430, anche Fra Diamante, come il Lippi, era stato posto da bambino in un monastero carmelitano, quello di Prato, dove aveva preso i voti; passato poi all’ordine vallombrosano, come tale è ricordato in un pagamento del 1460 per gli affreschi del Duomo di Prato (Borsook, 1975), a cui lavorava almeno dal 1454. Nel ’64 – vicino al maestro anche in questo – è imprigionato dalle autorità carmelitane e il Comune di Prato intercede per il suo rilascio presso la Curia di Firenze. Alla sua attività pratese vengono riferiti gli affreschi dei Santi Giovanni Gualberto e Alberto nell’arcone del Coro, a cui si accostano alcune tavole come quella con San Gerolamo, Santa Tecla e il Battista ora nel Museo Fogg di Cambridge, proveniente dalla Chiesa del Carmine dove, secondo il Vasari, “lavorò molte pitture” poi andate perse. Alla sua non eccelsa mano appartengono anche brani della predella della ‘Trinità’ del Pesellino; La Vergine che dà la Cintola a San Tommaso della Pinacoteca di Prato e La Natività con i Santi Giorgio e Vincenzo Ferrer dello stesso museo, proveniente da San Domenico, la cui autografia è però controversa.
Dopo la morte del Lippi, Fra Diamante provvide alla tutela di Filippino, seguendo il lascito testamentario del padre, ma nel ’70 lo ritroviamo a Prato per dipingere ad affresco un ritratto con le armi del Podestà Cesare Petrucci nel portico del Palazzo Pubblico di Prato. Nel 1472 è di nuovo a Firenze nel monastero di San Pancrazio, successivamente, secondo alcuni documenti, sarebbe stato a Roma fra i pittori impiegati da Sisto IV per decorare il Vaticano, forse accanto al Botticelli. Nel 1483 è priore di San Pietro di Gello nella diocesi di Volterra ma nel 1498 viene di nuovo imprigionato per ordine del priore del Convento Vallombrosano di San Salvi e in seguito non si hanno più notizie di lui.
Presentazione al Tempio/Circoncisione con San Filippo Benizzi, San Pellegrino e Santi Bottega di Filippo Lippi (fra Diamante?), Prato, Chiesa dello Spirito Santo, già di Santa Maria dei Servi (collocazione originaria) Tempera su tavola, cm. 188 x 164
aiuti locali a prato e spoleto
Il grande cantiere di Prato porta all’ovvia necessità di nuovi garzoni e aiuti per le pitture. Nel corso degli anni, oltre a Fra Diamante, si individuano il pratese Giannino della Magna (Fantappié, 1974), il Maestro della Natività di Castello e il Maestro della Natività Johnson, ora identificato storicamente con Domenico di Zanobi (Bernacchioni, 1996), compagno di bottega del pittore Domenico di Michelino.
Dalla bottega pratese del Lippi escono in quegli anni molte opere e operine, come ad esempio laAnnunciazione alla presenza di San Giuliano, conosciuta in almeno tre versioni, o le tre tavolette con La presentazione al Tempio, l’Adorazione dei Magi e la Strage degli Innocenti, già predella di una tavola perduta eseguita per il Convento di Santa Margherita. E ancora la Presentazione al Tempio/Circoncisione con San Filippo Benizzi dove è ampiamente riconoscibile la mano di Fra’ Diamante.
Certa infine a Spoleto, accanto all’adolescente Filippino e al fedele Fra Diamante, la presenza del giovane pittore locale Pier Matteo d’Amelia, raffigurato accanto ai due Lippi nell’affresco della Morte della Vergine. Il giovane, poi titolare di una delle più affermate botteghe umbre e maestro autonomo, è stato identificato da Federico Zeri (1990) con il Maestro dell’Annunciazione Gardner.