MATTEO ROSSELLI (Firenze, 1578-1650), Santa Cecilia (1615-20)
La luminosa, monumentale Santa Cecilia si caratterizza per l’aristocratica eleganza della figura, dal contenuto patetismo, e per il ricco cangiantismo delle vesti. La tela, che ornava in origine la Compagnia di San Pietro a Iolo, П opera felice, più volte replicata, di Matteo Rosselli e della sua bottega. L’artista, uno dei maestri della pittura fiorentina del Seicento, eseguì varie tele per chiese del territorio pratese (S. Domenico; S. Maria Maddalena a Tavola -poi spostata in San Francesco a Bonistallo -; S. Giovanni Battista a Montemurlo).
CARLO DOLCI (Firenze, 1616-1686), L’Angelo custode (1670-75)
La pala fu commissionata per la cappella dell’Assunta in Cattedrale dalla congrega detta degli Angeli Custodi, formata da cento sacerdoti, ed è fra i più riusciti esempi della pittura “devota” di Carlo Dolci, forse il pittore più rappresentativo del Seicento fiorentino. Nella scenografica ma calibrata composizione, il bellissimo bambino, esitante, sembra chiedere aiuto all’angelo, il quale gli indica la scelta fra la via più comoda, che conduce alla perdizione, e quella più aspra, che porta alla vita eterna. Eccezionali brani di lirica raffinatezza e sensibilità mostrano gli incarnati alabastrini del fanciullo, la veste preziosa dell’angelo, o i tulipani e anemoni del fondo.
COSIMO MERLINI (Bologna, 1580-Firenze, 1641), Calice (1635 ca)
Realizzato per la chiesa di San Bartolomeo di Prato da uno dei più abili argentieri granducali, l’originalissimo manufatto ha struttura formata da simboli eucaristici (il nodo è un grappolo d’uva, la base è ornata da spighe), utilizzati dall’artista anche in un calice di Luco di Mugello e una pisside nel Museo dell’Impruneta (Firenze), del 1637.
ARGENTI SACRI
Una vetrina ospita inoltre importanti argenti sacri. Tra questi un elegante ostensorio di Lorenzo Loi (1730), un Crocifisso da altare opera delle botteghe granducali della fine del Seicento, una bella legatura di Messale (Adriano Haffner, 1753), e vari calici, tra i quali uno, raffinatissimo, del fiorentino Antonio Mazzi (1738), e uno napoletano, riccamente traforato (1744).